sabato 21 maggio 2016

La bottega del caffè al teatro Arvalia di Roma.


I circuiti alternativi, le compagnie indipendenti, a volte anche improvvisate o formate là per là, i registi e gli attori meno noti e i teatri minori spesso ci riservano gradite sorprese. I cittadini dovrebbero conoscere quello che succede in questa nostra città, forse passerebbero meno tempo davanti alla TV e più tempo in giro, a curiosare, a informarsi, a condividere, a vivere…
Certo, a scegliere tra tutti gli eventi e gli spettacoli che si fanno c’è da diventar matti, ma questa quantità indica che a Roma c’è un fermento culturale impressionante, nonostante da anni i vari governi ci delizino con i tagli a cultura. E pensare che potremmo vivere di Cultura! Già, il nostro Paese ha dato i natali a Leonardo, Michelangelo, Caravaggio… ma anche Verdi, Rossini, Puccini, Donizetti… e poi a Pirandello, Calvino, Pasolini… quanti nomi potremmo citare, e quante scoperte, invenzioni, trovate, idee tipicamente nostre cose sono diventate un simbolo mondiale; lasciamo perdere la pizza e la Nutella, rimaniamo nella cultura: il sonetto in poesia, i termini che identificano i tempi in musica, l’alta liuteria, le maschere… pensate che anche il teatro aperto a tutti, quindi non più appannaggio di nobili salottieri, nasce nel quartiere di San Cassiano a Venezia a fine cinquecento.
Orbene, a Roma, tra anonimi palazzoni, c’è un piccolo parco, e in mezzo al verde un piccolo teatro, l’Arvalia, dove ieri ho avuto l’opportunità di vedere rappresentata “La bottega del caffè” di Carlo Goldoni. Certo, si tratta di una commedia leggera, classica, molto nota e senza grosse pretese se la considerassimo contemporanea, sta di fatto che Goldoni visse nel ‘700, ben prima che i moti del romanticismo animassero l’Europa. Goldoni era un avvocato, ma era anche un grande autore. Le sue opere sono rappresentate ancora oggi in tutto il mondo, e il suo teatro è una delle tante eccellenze di cui dovremmo andar fieri. Il fatto che lo si rappresenti in un’isola di verde in mezzo al traffico, nel luogo dove sino a poco tempo fa si ergevano le ciminiere di una raffineria, è segno che la trasformazione continua (a volte inumana) della nostra città e dei nostri spazi pretende che ci siano dei punti fermi, dei riferimenti saldi e ben definiti, e questi si trovano nella nostra storia, nelle nostre radici… nella nostra cultura! E Goldoni rappresenta a dovere la nostra Cultura.
A riproporci egregiamente una delle classiche commedie di Goldoni, datata 1750, abbiamo visto Carla Aversa, Paola Bardellini, Anna Cirulli, Andrea Cotrone, Gianpiero Cricchio, Mauro Manni, Fabrizio Mischitelli, Angelo Moriconi e Mimmo Valente, rigorosamente diretti da Massimiliano Milesi. L’opera, per quanto vanti oltre due secoli e mezzo, rappresenta una società che poco si discosta da quello che vediamo oggi, le tresche, le piccole truffe, le vanterie, le ipocrisie sembrerebbero le stesse di oggi, e se invece della bettola dove si gioca a carte si avesse una sala scommesse, invece dei titoli nobiliari avessimo la laurea o una collocazione gerarchica in azienda, noteremmo che gli atteggiamenti umani sarebbero ben poco diversi da quelli che vediamo sul palco.
L’opera si sostiene su due tronchi che si intrecciano e si fondono come i tronchi del ficus, uno, Ridolfo, è il bene nei fatti e nelle intenzioni, l’altro è il conte Marzio, il pettegolezzo e la parola che si diffondono incontrollati. Gli altri personaggi, importanti anche loro, sono tutti un po’ arruffoni e pasticcioni. Eugenio, dedito al gioco, perde sempre, Vittoria è la moglie che non riesce a rimetterlo in riga, Flaminio è baro nel gioco e nella vita, Placida è una pellegrina che cerca il marito per il mondo, e poi la ballerina infatuata di Flaminio, il barbiere, il locandiere e Trappola, il garzone di bottega.
Mimmo Valente, nel ruolo del conte Marzio, ci offre una grande interpretazione, condita dalla sua simpaticissima cadenza napoletana. Lui prende la scena, forse anche perché il conte è l’uomo arruffone e pasticcione che meglio rappresenta la contemporaneità, e quindi, oltre ad essere strepitoso nel suo ruolo, Mimmo prende gli applausi del gran finale, meritatissimi, ma questi non sono per lui, semmai sono per il conte Marzio, il ruolo che più ci assomiglia e che meglio ci prende in giro.
Gli fa da contrappeso Andrea Cotrone, nel ruolo di Ridolfo: buono, servizievole, onesto e capace. Si alterna alle bassezze spicciole del conte Marzio con elegante neutralità, senza stucchevolezze, perché sa benissimo che se eccedesse il suo ruolo sarebbe relegato all’ombra del conte, quindi Andrea non esagera, ma misura, calibra, non pretende, e riesce benissimo a rimanere in luce durante tutto lo spettacolo.
Gli altri ruoli, sebbene secondari, non sono meno importanti e, grazie all’ottima regia di Massimiliano Milesi, ottengono tutti il giusto plauso. Bravissima, come sempre, Carla Aversa, che aggiunge un tocco di drammaticità al ruolo della donna nella società, ma bravi anche Paola Bardellini con la sua pellegrina seduttrice, Anna Cirulli con la sua ballerina emancipata che non si concede facilmente, Giampiero Cricchio con il suo ottimo Eugenio, forte con le deboli e debole con i forti, sempre a difendere la sua integrità… e bravi anche gli altri. Insieme, questa squadra, forma un’orchestra affiatata degna dell’opera che rappresentano, e Goldoni si vede tra noi, a sorridere, perché anche nel degrado dei nostri tempi, la sua opera vive!

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