"In fondo, il valore spirituale dell'uomo d'oggi è superiore a quello
dell'uomo di un tempo, proprio perché il materialismo oggi imperante gli
impone, per potersi difendere, di dare fondo a tutte le proprie
risorse, a tutta la propria luce interiore." Trovo molto interessante la
conclusione di Franco Campegiani (tratta da un suo intervento ben più
articolato su "la lettera morta e la parola vivente"), che condivido, e
che mi stimola a fare una nuova riflessione.
Quando ero adolescente
mi nutrivo di letture che avessero qualcosa di “spirituale”: libri di
magia, vite di lama tibetani, Bagavad Gita, Il libro tibetano dei morti,
Popul vuh, Mahabarata, i libri di Lobsang Rampa e via dicendo, fino a
sconfinare nello sciamanismo (del resto abitavo in Messico ed ero molto
vicino a certe pratiche) e poi nell'esoterismo. L’osservazione che
faccio oggi, è che allora il mercato della “spiritualità” si stava
trasformando per diventare quello che poi abbiamo conosciuto come “new
age”, dove la spiritualità sconfinava nel “management” e nella ricerca
di soluzioni pratiche ai problemi dell’anima. Oltre alla letteratura,
anche la musica ha seguito quella strada, ad esempio: alcuni musicisti,
partendo da melodie e canti dei pellerossa hanno prodotto dischi poco
memorabili riducendo ciò che in origine era preghiera a prodotto di
consumo. Questo mercato stride con il cammino spirituale che pretende di
contenere, proprio perché mercato. Ma se questo mercato esiste, non è
certo perché i produttori si divertono a proporre spiritualità da
paccottiglia, ma perché c’è un’esigenza, perché i guru del marketing
hanno visto quello che succede tra noi, esseri umani: i geni del
marketing hanno capito quello che dice Campegiani ben prima di noi, e se
da una parte l’uomo deve dar fondo alle risorse più intime per
difendersi dal materialismo imperante, dall’altra questa esigenza è
fonte di nuovo materialismo. Per questo il mercato è invaso da specchi
per allodole che propongono cammini o percorsi “spirituali” che spesso
poco si discostano da un ricettario gastronomico. L’uomo è una preda, il
mercato è il predatore, e per difendersi da queste dinamiche, l'uomo
deve dar fondo alle proprie risorse, che sono sempre più difficili da
distinguere.
Claudio Fiorentini
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